Murri Augusto

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Augusto Murri (Fermo, 8 settembre 1841 – Bologna, 11 novembre 1932) è stato un medico italiano. È considerato uno dei più grandi clinici del suo tempo, autore di una vastissima attività scientifica.


Augusto Murri raggiunse Parigi, dove poté frequentare le lezioni di Bazin, Fournier e Armand Trousseau. Vinse poi una borsa di studio grazie alla quale si recò in Germania dove, sotto la guida del Traube, compì la preparazione allo studio metodico del malato, al quale si era accostato durante il terzo anno di medicina leggendo gli scritti di Maurizio Bufalini. Qui realizzò un lavoro sull'itterizia grave, pubblicato su Lo Sperimentale a Firenze nel 1868, nel quale riconduceva la malattia a profondi cambiamenti nelle proprietà del fluido sanguigno: tale studio gli permise di ottenere il 5 febbraio del 1869 il posto d'aiuto alla cattedra di Guido Baccelli nella Clinica medica di Roma. Risalgono a questo periodo i suoi studi sull'arseniato di chinina ad alte dosi nelle febbri malariche, sul potere regolatore della temperatura animale e sulla teoria della febbre. Nel 1874, nonostante l'aiuto e l'impegno di Baccelli, non riuscì ad aggiudicarsi la cattedra vacante di Torino, ma l'anno successivo fu destinato dal ministro Ruggero Bonghi a Bologna, città dalla quale non si mosse più. Qui infatti, nel 1892, succedette al professor Luigi Concato (trasferitosi a Padova) come direttore della clinica e durante il biennio 1888-1889 gli fu affidato l'incarico di rettore dell'ateneo bolognese, posizione dalla quale esercitò un'indubbia attrazione su allievi, colleghi e pazienti.

Medico condotto Nel corso della sua vita si vide costretto per ragioni economiche ad esercitare la professione di medico condotto a San Severino Marche, Cupramarittima, Fabriano e Civitavecchia. Egli si augurava che il medico tradizionale, enciclopedico ed armato solamente delle nozioni apprese nella scuola, potesse trasformarsi nella figura ideale di un medico che sappia fare affidamento sulla propria esperienza, ma che sia allo stesso tempo capace di analizzarla con criterio e, se necessario, di metterla in discussione. Promuoveva inoltre l'importanza di suddividere la medicina nelle cosiddette specialità e la necessità di una conseguente collaborazione fra medici nell'analisi e terapia dei casi clinici. Il metodo di Augusto Murri mirava non tanto alla diagnosi della malattia, quanto allo studio e all'esame del singolo malato. Strumenti privilegiati, in questo senso, erano lo spirito d'osservazione ed il ricorso all'anamnesi che consentivano al medico di evitare la via, certamente più facile e comoda, dell'argomentazione deduttiva, conferendogli invece un maggiore livello di competenza.
Il pensiero L'originalità dell'insegnamento murriano si deve proprio all'eccellente combinazione tra il metodo sperimentale inaugurato da Galileo ed il metodo logico induttivo, secondo uno spirito vigilante di critica nei confronti delle opinioni proprie ed altrui, le quali, avvalorate dall'esperienza, possono in tal modo divenire cognizioni. È considerato non a torto uno dei più grandi innovatori in campo medico del suo tempo, promotore di una clinica pura, incentrata sulla ricerca diretta sul malato come individuo, sui suoi sintomi e sulle cause della malattia. Tale ricerca deve essere attenta e scrupolosa e l'osservazione empirica costituisce quel punto di partenza fondamentale per la formulazione di ipotesi, che necessitano poi di una conferma, in modo da evitare quei preconcetti che conducono inevitabilmente all'errore. Egli attribuisce al medico il solo compito di riconoscere: partendo dal presupposto che non è possibile ottenere una conoscenza soddisfacente ed esaustiva, appaiono essenziali la capacità di critica e la facoltà di mettere eventualmente in discussione le conclusioni tratte dall'indagine. Introduce quindi un fattore determinante ed innovativo, la continuità tra osservazione, ragione ed immaginazione. Augusto Murri, pertanto, ritiene efficace la semplice cura di un sintomo solo se questo viene considerato in relazione al processo che lo genera, e soprattutto al malato che ne soffre ("Non c'è un malato che sia uguale all'altro"). In lui quindi, la meticolosità negli studi e l'accuratezza nell'osservazione e cura dei pazienti si accompagnano all'insegnamento più grande, quello dell'amore all'umanità, e appaiono come due aspetti imprescindibili e vincolanti nell'ambito dell'educazione di un buon medico


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