Garzoni Alvise

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Garzoni Alvise - Nacque a Venezia nel 1449, in contrada S. Polo, dal futuro cavaliere e procuratore Marino di Francesco, e dalla prima moglie di Marino, Elena Barbarigo di Giacomo di Andrea. 

Servizio pubblico e interessi privati convivevano probabilmente in quegli anni in tutta la famiglia: fra il 1484 e il 1487 il padre del G. era infatti duca di Candia, il fratello Zaccaria esercitava la mercatura in Levante e lo stesso G. il 27 dic. 1487 fu nominato capitano del convoglio del Trafego (la muda che operava fra Tripoli e Alessandria).

La carriera politica in patria non sembrava offrire al G. prospettive troppo rosee, visto che qualche mese prima, il 5 apr. 1487, i consiglieri ducali avevano invalidato la sua elezione all'ufficio sopra le Camere per via di certi debiti fiscali non compiutamente onorati. Egli preferì quindi volgersi ancora al mare, dopo aver sposato una non meglio identificata figlia di Francesco Marcello (fratello del defunto comandante dell'armata veneta); da lei avrebbe avuto Vincenzo, con cui si sarebbe estinto il ramo del casato; la Marcello infatti morì presto e il matrimonio del G., nel 1494, con Chiara Erizzo del procuratore Antonio sarebbe risultato sterile.

Erano comunque la vocazione marinara e i traffici a essa collegati a dominare gli interessi del G., che nel marzo del 1490 accettò la nomina di provveditore a Lepanto; rimpatriato, il 16 dic. 1496 era eletto patrono all'Arsenale, carica dalla durata triennale; in tale veste, il 15 sett. 1497 vendeva una nave del valore di 1000 ducati ai Pisani dal Banco.

Negli anni che seguirono il G. sembra ulteriormente defilarsi dall'attività politica: il 10 apr. 1500 manca l'elezione a capitano delle galere grosse; il 24 marzo dell'anno successivo la cosa si ripete con il provveditorato in Armata; poi è la volta di un reggimento in Terraferma - il provveditorato a Faenza -, che il G. fallisce per pochi voti sia il 25 nov. 1503 sia il 5 sett. 1505.

Nel frattempo la morte del padre (14 giugno 1505) fece sorgere contrasti tra i numerosi figli, oltre tutto divisi tra quelli di primo e di secondo letto; le divergenze sfociarono in lunghi e complessi processi, dei quali è rimasta ampia documentazione; a partire da questo momento, al G. fu assegnato il secondo piano del palazzo paterno, in campo S. Polo, dove sarebbe vissuto sino alla morte.

Dopo tanti anni, la ripresa della carriera politica del G. doveva verificarsi proprio alla vigilia del periodo peggiore della storia della Repubblica marciana; all'inizio del 1509, infatti, egli si recava a Bergamo per esercitarvi la carica pretoria. I problemi della città (le famiglie nobili erano tradizionalmente divise nelle due fazioni dei guelfi, filoveneziani, e dei ghibellini, che guardavano a Milano) non fecero in tempo ad assorbire l'attenzione del G., subito preso dai gagliardi venti di guerra che spiravano da Cambrai. Scrive il Sanuto - da questo momento la principale fonte sul G. - che il 12 marzo 1509 uno dei due comandanti delle truppe venete, Niccolò Orsini conte di Pitigliano, entrava a Bergamo annunciando che un'avanguardia di duecento cavalieri francesi aveva oltrepassato l'Adda e devastato le campagne. Purtroppo gli allestimenti difensivi furono ostacolati dai forti dissapori che dividevano il G. dal suo collega capitano, Francesco Venier; incurante che quest'ultimo fosse cognato del doge, il 16 marzo il G. venne con lui addirittura alle mani, "adeo", riferisce Sanuto, "quella terra è sottosopra […]; tamen non fo fato provision alcuna".

Qualche settimana dopo, la disfatta veneziana ad Agnadello consegnava ai Francesi tutta la Lombardia; il 20 maggio i rettori furono deportati a Milano e di lì in Francia; nella tragica circostanza migliore fortuna toccò invece a un fratello del G., Francesco, che da Verona, dove era podestà, fece in tempo a riparare in laguna.

Diversamente da altri prigionieri che riuscirono a farsi riscattare, i due veneziani non ebbero fortuna: il Venier morì infatti Oltralpe, mentre il G. sarebbe riuscito a rimpatriare solo dopo diversi anni e lunghi patimenti.

Un poco fu anche colpa sua: convinto di affrettare la liberazione, chiese al re Luigi XII di affidarlo a un privato come preda di guerra, onde trattare più speditamente il riscatto; senonché sfortuna volle che la scelta cadesse sul signore di Besançon, Giovanni, il quale, a sua volta catturato dagli Svizzeri mentre si trovava a Como con le truppe francesi, non solo era stato derubato di grossa somma, ma costretto altresì a pagare una taglia. Pertanto il G. era venuto a trovarsi prigioniero di un prigioniero, il quale non trovò di meglio che girare sul veneziano il costo dell'operazione.


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