Filippo Cordova (Aidone, 1º maggio 1811 – Firenze, 16 settembre 1868) è stato un patriota, giurista e politico italiano.
Nel gennaio 1848, quando la Sicilia si ribellò ai Borbone, fu segretario del comitato rivoluzionario provinciale e fu eletto in marzo deputato alla "Camera dei Comuni". Si occupò della redazione dello statuto siciliano. Il 13 agosto il capo dello stato siciliano, Ruggero Settimo, lo nominò ministro delle finanze nel governo guidato dal marchese Torrearsa.
Filippo Cordova ideò un "comitato misto" che assumesse le decisioni più importanti per il nuovo stato siciliano. Come ministro propose l'introduzione della carta-moneta con la creazione del Banco di Sicilia Per decreto stabilì che i beni ecclesiastici e le argenterie delle chiese fossero dati in pegno per i prestiti allo stato; abolì inoltre l'odiata tassa sul macinato che gravava particolarmente sugli strati più poveri della popolazione. La radicalità delle sue proposte, che mirava a trasformare il latifondo siciliano con la creazione di tanti piccoli proprietari terrieri, venne osteggiata dai nobili presenti nel parlamento siciliano e dal clero.
Redasse il documento che sanciva la decadenza dal trono di Ferdinando II di Borbone e appoggiò l'offerta della corona a Ferdinando di Savoia-Genova, duca di Genova, figlio del re Carlo Alberto.
Per reperire fondi per la guerra contro i Borboni propose il progetto per un mutuo coattivo, in base agli accordi presi con una banca francese da Michele Amari, suscitando una netta opposizione dei nobili e fu costretto a dimettersi. Filippo Cordova fornì le carte della Sicilia per la spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi, a cui partecipò anche il nipote, Vincenzo Cordova Savina 1819+1897. Nel luglio del 1860 poté rientrare a Palermo. Garibaldi lo nominò inizialmente procuratore generale della Corte dei Conti, ma venne in seguito espulso dalla Sicilia in seguito alla lotta politica che si era scatenata tra Giuseppe La Farina, inviato di Cavour, e Francesco Crispi, segretario di Garibaldi.
Filippo Cordova, dopo aver soggiornato a Napoli, rientrò in Piemonte e Cavour lo nominò segretario del ministero delle finanze nel primo governo del Regno, con il compito di unificare i bilanci degli Stati preunitari. Si batté per l'annessione della Sicilia al Regno d'Italia e nel nuovo parlamento venne eletto deputato nei collegi di Caltanissetta, Caltagirone e Siracusa.
Dopo la morte di Cavour fu nominato al ministero dell'agricoltura e commercio nel primo governo Ricasoli (1861-1862), dove istituì la "Divisione di statistica (attuale ISTAT). Fu poi ministro di grazia e giustizia e culti nel primo governo Rattazzi (1862), consigliere di stato e ancora ministro dell'agricoltura nel secondo governo Ricasoli (1866-1867).
Nel 1868 venne eletto presidente della "Commissione di inchiesta sul corso forzoso", ma fu colpito da infarto il 2 giugno mentre si recava alla votazione per l'abolizione della legge. Si dimise per motivi di salute e morì il 16 settembre a Firenze, ove venne sepolto al cimitero di San Miniato al monte.
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